Atom in Rome: antropologia dei fan dei Pink Floyd

Pink Floyd Auditorium Conciliazione atom in rome

I più attenti sapevano già l’argomento di questo post perché qualche giorno fa mi è partito PUBBLICA, invece di SALVA BOZZA.

Va beh… adesso comunque è noto a tutti che la scorsa settimana sono andato a vedere la replica di Atom in Rome all’Auditorium Conciliazione con mio fratello. Ed è stata una vera figata.

A dispetto del titolo, e di quello che mi aspettavo, lo spettacolo non prevedeva solo l’esecuzione dell’album Atom Heart Mother (di cui tra l’altro hanno fatto solo la suite e Summer 68) ma attingeva a piene mani agli album della loro “Tetralogia Commerciale” (ovvero gli album da The Dark Side of the Moon a The Wall).

Visto il repertorio della serata, quindi, lo stesso spettacolo si sarebbe potuto benissimo chiamare “The Wall in Rome”, “Dark Side in Rome” o, forse più correttamente, “Pink Floyd in Rome”.

Chiamandolo in questo modo, però, secondo me gli organizzatori hanno selezionato il tipo di fan dei Pink Floyd che è venuto a vedere lo spettacolo.

Riprendendo la discussione nata nei commenti di questo post del blog Place to Be (che poi è diventata il punto di partenza di quest’altro post), i fan dei Pink Floyd possono dividersi nettamente tra:

  • i “puristi“, che riempiono le loro discussioni di parole come Syd Barrett e Ummagumma, pensano che i Pink Floyd siano finiti con Meddle e sdegnano con tutte le loro forze i dischi da The Dark Side of the Moon in poi, considerati troppo commerciali, quasi da donnicciole;
  • gli “istituzionali“, numericamente 10 volte i puristi, grandi fan di The Dark Side of the Moon, Wish You Were Here e the Wall, pensano che il nome del gruppo significhi Fluido Rosa e Syd Barrett non sanno neanche chi sia, o anche se hanno provato ad ascoltare album come Saucerful of Secrets, pensano che siano cose che non fanno per loro.

Chiamando lo spettacolo in questo modo, quindi, gli organizzatori hanno chiaramente puntato, coscientemente o meno, ai “puristi”; tanto che la sala era gremita (o quasi) di veri appassionati dei Pink.

In realtà è stata una serata fantastica che sarebbe piaciuta anche ad istituzionali e simpatizzanti.

Immaginate un gruppo cover dei Pink Floyd che suona in un auditorium accompagnati da un crescendo di strumenti: due polistrumentisti ritmici, un sassofonista, una cantante solista per Great gig in the Sky, un’attrice che leggeva i testi in italiano, un Ensemble di 10 fiati, un coro di 80 persone ed un maestro d’orchestra.

Vi basta?


Pink Floyd da camera

dear god please give roger waters eternal life and david gilmour too preghiera Pink Floyd

Ragionando a mente fredda, direi che lo spettacolo è stata una “classicizzazione” della musica dei Pink Floyd:

sala da concerto con particolare cura dell’acustica, pubblico che conosce perfettamente l’opera, gruppo esecutore a cui è richiesto esclusivamente di far rivivere la musica totale scritta da altri.

Quello che succede quando vai a vedere l’Opera o qualsiasi altro concerto di musica classica.

E la cosa sembra avere avuto successo; la sala, infatti, era piena e siamo usciti tutti soddisfatti di quello che abbiamo visto; a parte, forse, mio fratello che è arrivato a tale punto di estasi che avrebbe voluto pogare nell’auditorium sulle note di Shine on You Crazy Diamond ma non glielo hanno permesso :).

In un momento come questo, comunque, in cui non si fa altro che parlare di morte del rock e di mancanza di introiti per la “macchina musicale”, un esperimento del genere dovrebbe essere studiato per bene e replicato.

Certo se la “classicizzazione” dovesse avere un seguito, andrebbero però conciliati alcuni aspetti della musica rock con quelli della musica classica che in questo momento cozzano un po’ fra di loro.

La cosa è stata evidente anche durante la serata.

Se il gruppo rock, infatti, suonava a memoria e riempiva l’esecuzione con degli abbellimenti (piccole variazioni negli assolo di chitarra, modifica di alcune note nelle parti vocali…), il coro e l’orchestra seguivano rigorosamente uno spartito scritto.

Ed a pensarci bene queste due caratteristiche sono quelle che vengono richieste ai musicisti, ognuno nel proprio ambito.

Al musicista rock è richiesta l’anima, la creatività e l’originalità e se un gruppo esegue 100 volte lo stesso brano ci aspettiamo che lo esegua ogni volta in un modo diverso.

Al musicista classico è richiesta la fedeltà nell’esecuzione e la giusta riproduzione delle idee e dei sentimenti del compositore e/o del direttore d’orchestra e se un ensemble di musica classica esegue 100 volte lo stesso brano ci aspettiamo che lo esegua 100 volte nello stesso identico modo.

Ma suonando musica dei Pink Floyd come se fosse musica classica, quale delle due correnti è quella giusta?

Chissà…

Atom in rome, auditorium conciliazione, 9 febbraio 2013

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11 commenti

    • Sono completamente d’accordo, anche perchè altrimenti il punkabbestia durante i Preludi di Chopin mi si annoia 🙂

    • Io direi che ho speso 40 euro per un coro di 90 persone ed un orchestra che suonano uno dei miei album preferiti di sempre in un auditorium storico.
      In teoria c’erano anche i biglietti a 20 euro ma, vuoi per avere il posto migliore in assoluto che per incentivare questi spettacoli, gliene ho dati 40.

  1. puristi e istituzionali?? e io che sarei allora? già sai che il mio periodo preferito va dal 68 al 73, e già hai avuto modo di notare che non disdegno nemmeno l’epifania-PF (o pre-set..) ma ritengo dark side il ‘miglior’ album della storia, “shine on” uno dei pezzi più grandi e division bell uno dei miei dischi preferiti…

    secondo me bisogna classificare i fan dei PF in due insiemi: quelli che dividono gli altri in categorie specifiche e i veri amanti del gruppo! 😉

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