L’album Tales from Topographic Oceans degli Yes ripropone una questione estetica cara ai filosofi dell’arte dai tempi della “Critica della Ragion Fracica” di Kant che suona più o meno così:
L’arte (in questo caso la musica) per essere bella deve assecondare i gusti del pubblico e, quindi, sarà tanto più bella quanto più sarà “accessibile” senza sforzi dello spettatore, oppure può esistere un’opera d’arte che sia indipendente dai gusti del pubblico, che pretenda che sia quest’ultimo a fare un piccolo sforzo per essere compresa, ma che, nonostante questo, possa comunque essere considerata bella?
Come succede sempre nella filosofia di questi tempi, entrambe le tesi sono corrette e percorribili.
Ogni volta che si parla di quest’album degli Yes, quindi, a seconda se chi scrive appartiene all’una o all’altra corrente, lo giudica una schifezza inascoltabile oppure una delle cose più importanti della musica moderna.
E’ lo stesso Jon Andreson, cantante del gruppo ed ideatore del “concept”, a spiegare che non siamo di fronte ad un disco qualsiasi:
Dopo aver trovato la formula vincente con Fragile, gli Yes proseguono su quella strada espandendo la durata dei loro brani e pubblicando Close to the Edge, unanimamente considerato il loro album più “equilibrato” ed una delle loro vette compositive.
Una volta raggiunta la vetta, il gruppo si è trovato di fronte alla fatidica domanda: “e ora?”
La risposta alla domanda arriva in una stanza di albergo di Tokyo durante un tour in Giappone nel marzo 1973, dove Anderson, leggendo la Biografia di uno Yogi di Paramhansa Yogananda viene a conoscenza di quattro testi sacri che “coprivano ogni aspetto della religione e della vita sociale come la medicina, la musica, l’arte e l’architettura”.
Ad ognuno di questi 4 libri, prima con l’aiuto del solo chitarrista Steve Howe, poi con tutti gli altri membri del gruppo, il cantante degli Yes dedica un brano che occupa l’intera facciata di un doppio album uscito a dicembre di quel 1973 ed intitolato, appunto, Tales from Topographic Oceans.
Più di 80 minuti dove la capacità tecnica e compositiva degli Yes viene portata all’esasperazione e che per l’ascoltatore è una botta dopo la quale sfido chiunque a restare in piedi, anche dopo 5-6 ascolti
Eppure è evidente che nel disco c’è tanta qualità: qualità nel concept, nei testi, nelle composizioni, nel packaging (la copertina è una delle più belle in assoluto tra quelle disegnate da Roger Dean).
Tanta qualità ma difficile fruizione.
E così torniamo alla domanda inizale: gli Yes hanno esagerato ed hanno fatto un album noioso da evitare? oppure è una perla da assaporare pian piano?
Questo è l’effetto che mi ha sempre fatto anche 2001 Odissea nello Spazio di Kubrick, un film chiaramente pregno di contenuti la cui fruibilità è messa, però, a durissima prova dalla lentezza ed oscurità del film.
Quando ero all’università non avevo dubbi, sia 2001 che quest’album degli Yes erano dei capolavori assoluti e se il pubblico non lo capisce sono affari suoi. Oggi, con qualche anno in più sulle spalle e in un mondo che ormai è diventato completamente “social”, qualche dubbio mi viene.
Voi cosa ne pensate?
P.s. Il disco è uno di quelli acquistati a 5 euro al Music Day di cui avevo già parlato.
Titolo: Tales from Topographic Oceans – Artista: Yes – Etichetta/N. serie: Dischi Ricordi S.p.a. – K 80001 – Formato: Vinyl, 2xLP, Gatefold – Paese: Italia – Anno: 1973 (originale) – Data di acquisto: 29 settembre 2013 – Prezzo: € 5,00 – Venditore: bancarella al Music Day di Roma.
vecchio equivoco: il bello è noioso, figlio della cattiva educazione scolastica (o della sua impostazione ancora così gentiliana)
per me gli yes tutti sono, semplicemente, inascoltabili.
Con i tempi che corrono, secondo me dobbiamo anche iniziare a preoccuparci di quelli che “se scrivi più di 140 caratteri o pubblichi un video più lungo di un minuto mi rompi le balle e non ti seguo più”.
Comunque, come dicevo già nel post, ce ne sono diversi che la pensano come te su questo album e un motivo ci sarà.
Certo bocciarmi tutti gli Yes in blocco, però… mi sembra un po’ troppo.
E Close to the Edge, Fragile e Relayer? Niente?
gli yes no 😉
Ciao, ho questo album (così come Close e Fragile e Yes album). La cosa che o sempre trovato insopportabile è la registrazione. Estremamente fredda. Detto questo, gli unici che riesco ancora a sentire sono fragile e Yes album, vale a dire gli Yes in forma canzone….
Ciao Pietr, concordo sulla freddezza delle registrazioni, ma gli yes hanno (o avevano) così tanta tecnica che se ne potevano benissimo fregare degli “espedienti da studio”.
Non è il loro miglior album. Però lo ascolto volentieri almeno una decina di volte ogni anno e l’acquistai quando fu pubblicato.
Gli Yes in alcuni lp sono interpreti meravigliosi, ma come un certo immenso poeta-cantautore o come una certa squadra di calcio … si amano o si detestano.
Concordo. Penso che non aggiunga niente all’album precedente ma non è che ogni volta uno deve riscrivere la storia della musica no?
album pomposo e difficile da digerire.. mai sopportato granchè.. la cosa più bella dell’album ? la cover
Cover fantastica, come tutte quelle di Roger Dean del resto, il disco non ha niente a che vedere con Fragile o Close to the Edge ma se lo metti di sottofondo mentre fai altro quell’altro che fai te lo godi sicuramente di più 🙂
ah si di sottofondo va benissimo.. di loro, del periodo post “Edge” io amo moltissimo Relayer e Going for the One, dischi che contengono le fantastiche suite “The Gates of Delirium” e “Awaken”, 2 dei migliori pezzi degli Yes a mio avviso..
capolavoro, l’ho ascoltato un’estate intera….. non sapevo cos’altro sentire…. mi capita solo a periodi con Bach. La fantasia e il virtuosismo degli Yes sono al massimo, è dispersivo ma anche vario. Credo che può non piacere solo a chi non piacciono gli Yes
Bravo! Assolutamente d’accordo con te.
Mah, onestamente non riesco proprio a capire chi continua ripetere a pappagallo (evidentemente perché l’ha letto da qualche parte) che TFTO è “pomposo”. Non ci vedo nulla di più pomposo rispetto a Close to the Edge, né tanto meno rispetto a Relayer. Anzi, direi che ci sono momenti molto “orecchiabili” (brutto termine, ma nel senso che li puoi canticchiare sotto la doccia: stonando, io lo faccio!). Poi, noioso è soggettivo: se uno s’annoia è un problema suo. Solo, vorrei capire perché questo album è noioso, e invece Relayer no. Se uno lo trova noioso e pomposo, beh, semplicemente non gli piacciono gli Yes: nulla di male, ma passi ad ascoltare altra musica e tanti saluti.
Grande Laura. Io penso che lo definiscono noioso rispetto a relayer solo perché dura il doppio e al primo ascolto questo incide. Comunque sono d’accordo con te, ognuno pensi quello che vuole basta che ci lasciano ascoltare questo capolavoro. Un saluto
Un caro saluto a te. 🙂
Lo ascolto da quando avevo 14 anni, ora ne ho 61. È uno dei pochi album che ancora mi entusiasma ad ogni ascolto.
Per me è un capolavoro assoluto di tutta la musica, non solo la prog.
Purtroppo pochissimi altri album riescono a farmi questo effetto
Pienamente d’accordo